Il profilo dell’artista, di Aldo Maria Pero.

Lydia Lorenzi è impegnata in diversi àmbiti culturali, dalla pittura alla scultura, alla fotografia; e tale pluralità d’interessi rende difficile individuare il nucleo essenziale del suo lavoro, sul quale si sono espressi, tra i molti che hanno scritto su di lei, anche autorevoli critici. Questi ultimi hanno sostanzialmente insistito sulla natura, per così dire, metafisica delle sue opere ma, come vedremo, tale concetto deve essere riconsiderato e riproposto in altri termini. Risulta inoltre di scarso costrutto svolgere un’analisi volta ad identificare illustri ascendenze che, per quanto esistenti, hanno influito sulla sua personalità artistica solo come giacimento di immagini viste, valutate ed archiviate quali elementi sostanzialmente marginali rispetto all’essenza del suo cammino, impostato su una consapevole ricerca personale.
La valutazione della produzione della Lorenzi pone l’obbligo di entrare nel vivo dei suoi orizzonti creativi non distinguendo le sue opere in ragione delle diverse tipologie esecutive, ma stabilendo quali siano i fattori essenziali alla definizione del suo stile separandoli da quelli che costituiscono eleganti, talora notevoli, riproposte di motivi elaborati in momenti di particolare illuminazione creativa.
Queste considerazioni valgono tanto in sede pittorica che in àmbito plastico, tanto più che molto spesso tali diverse applicazioni operative non si rivolgono a nette distinzioni teoriche ma attingono alla stessa riserva di idee e di progettazioni, dando talora origine a commistioni che mostrano non solo verve allusiva ma il desiderio di operare in un modo particolare sulla materia, presentandola e facendola scomparire: un sofisticato modo di procedere che costituisce il nucleo poetico della sua esperienza. La tentazione metafisica di cui i suoi esegeti parlano non è quindi da intendere nel senso che abitualmente questo termine ricorre nella terminologia della critica d’arte e tantomeno in quella propriamente filosofica, ma quale prassi esecutiva che interviene su due piani. Uno fisico in cui un determinato oggetto viene evidenziato quale parziale rappresentazione di una realtà concreta e un altro proiettato in uno spazio metafisico, là dove si può supporre che avvenga il completamento fra il visibile e l’invisibile.
Per fare un esempio, si scelga Guitare del 1998 e si prendano in prima considerazione i colori impiegati, elemento essenziale per una pittrice che ne fa quasi sempre un uso simbolico, talora conferendo loro un ruolo centrale, vero e proprio oggetto dell’opera, come si verifica nello straordinario Jaune musical del 2003. La chitarra è adagiata su un doppio sfondo d’oro e di un rosso sfumante in arancio. L’oro è impiegato secondo la tradizione bizantina che se ne serviva quale simbolo della divina eternità, o quanto meno del definitivo completamento di un’opera, mentre il rosso è parte della stessa sensibilità sacrale. Ciò comporta che la chitarra viene sottratta alla propria accidentalità per essere elevata a simbolo della musica, della sempiterna armonia delle celesti sfere, quell’armonia celebrata da Pitagora e più tardi dagli stessi Padri della Chiesa.
Lo strumento è dipinto in ciano, sfumatura complementare del rosso, e si presenta solidamente strutturato, ma solo per metà. Avviene così che la Lorenzi, che ha fornito prove ancòra più interessanti della medesima natura, realizzi al contempo una figura nella quale la scomparsa di parte della materia, ovvero la seconda metà della chitarra, trasferisca la propria idea dal piano fisico a quello metafisico.
In termini più aerei, eleganti e teoreticamente consapevoli, sono da considerare le prove elaborate nei primi anni del terzo millennio, ossia, oltre al già citato Jaune musical, Cobalto violino del 2002, una tela nella quale pochi tratti fanno intuire l’esistenza di tale strumento, qui smaterializzato, mentre il colore- simbolo, alla Mallarmé o se si preferisce alla Kandinskij, domina pienamente. Rinunciando ad altre citazioni, si deve segnalare l’approdo estremo costituito da Serenata lusitana del 2003, pieno frutto di una grande maniera e al tempo stesso metafora del Portogallo, della saudade e del suo triste canto, il fado.
Delle numerose altre considerazioni che Lydia Lorenzi suggerisce e che solo un catalogo potrebbe contenere, poche vantano l’essenzialità dei due steli di fiore accoppiati: l’uno colorato con l’anarchia cromatica ch’era stata dei Fauves e l’altro raffigurato nella sua lineare semplicità, quasi ci si trovasse di fronte ad una delle forme pure teorizzate da Platone e parallelamente alla sua realizzazione terrena con tutti i suoi accidenti individualizzanti, secondo quanto illustrato da Aristotele.
Una interessante Guitare del 2004 esiste anche in scultura, un lavoro che in ardesia ed acciaio ripropone la presenza di forme allusive che accennano ad una materia non del tutto espressa. Di altrettanto notevole interesse è Pietra filosofale (2004). In essa l’autrice dà vita al connubio di elementi estetici e dati storici: l’unione di spunti statuari e pittorici con la rievocazione del mito della famosa pietra filosofale capace, secondo molte leggende popolari vive sino all’inizio dell’età moderna, di trasformare vili metalli in oro fino.
Il bronzo ha consentito alla Lorenzi alcune creazioni intimamente legate alla natura del materiale impiegato, ma anche di trasferire un’idea dipinta in materica rappresentazione, come avviene in Allevamento di ombre del 1992; un certo numero di veri e propri diverissements quali La richesse del 2014 e la riproposta di figure della cultura classica come ad esempio Il tuffatore, un lavoro realizzato nel 2001.

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The profile of the artist, di Aldo Maria Pero.

Lydia Lorenzi is committed to different cultural fields, from painting to sculpture, to fotography; and such a plurality of interests makes it difficult to identify the core of her work, on which many have spoken out and among them authoritative critics. The latter basically have stressed, so to say, the metaphysical nature of her works but, as we shall see, that concept should be thought through and proposed in different terms. Besides it is of little benefit trying to identify eminent ancestors; though real, they have influenced her artistic personality acting only as a store of images seen, valued and recorded as elements actually marginal compared to the essence of her course, planned on a conscious personal research.
Evaluating Lorenzi's production obliges to get into her creative horizons not to distinguish her works according to the different executive typologies ,but in order to define what factors are essential to the definition of her style, separating them from the ones forming elegant, sometimes remarkable , proposals of motifs worked out at times of particular creative flashes of inspiration.
These considerations are valid both in the pictorial and plastic fields, the more so because very often such different operating applications do not turn to clear theoretical distinctions but they get from the same reserve of ideas and plans, sometimes creating a mixture showing not only allusive verve but also her wish to work on the matter, displaying it and making it disappear:a sophisticated way of working which is the poetic core of her experience.
So the metaphysical temptation which her exegetes talk about is not to be understood in the sense of the term usually used in the art criticism terminology and even less in the specifically philosophical one , but as an operating practice occurring at two levels. A philosophical one where a certain object is highlighted as a partial representation of a concrete reality and the other one projected into a metaphysical space, where the completion between the visible and the invisible is expected to happen. To give an example, choose Guitare of 1998 and first consider the colours used , essential elements for a painter who almost always makes a symbolic use of them, sometimes giving them a central role, a real object of the work of art, as in the case of extraordinary Jaune musical of 2003. The guitar is lying on a double background, golden and red fading to orange.
Gold is employed in the Byzantine tradition which used it as a symbol of divine eternity or at least of the final completion of a work, while red is part of the same sacral sensibility.
That implies that the guitar is removed from its own casualness to become a symbol of music, of the everlasting harmony of the heavenly spheres, the sort of harmony celebrated by Pythagoras and later by the Church Fathers themselves. The instrument is painted in cyan, complementary shade of red, and appears solidly structured , but only half of it. So what happens is that Lorenzi , who has achieved even more interesting results of identical nature, obtains at the same time a figure in which the disappearance of part of the matter, that is the second half of the guitar, transfers her own idea from a physical level to a metaphysical one. In lighter, more elegant and theoretically conscious terms are to be considered the works produced in the first years of the third millennium, that is ,in addition to the above Jaune musical, Cobalt Violin of 2002, a canvas where few strokes suggest the existence of such an instrument, here dematerialized, while the symbol-colour, Mallarme or if you prefer Kandinsky-style, is absolutely prevalent.
Dropping other references, we should point out the extreme achievement of Lusitanian Serenade, full outcome of a great manner and at the same time metaphor of Portugal, of saudade and its sad singing, fado. Of the numerous comments that Lydia Lorenzi arouses and which only a catalogue could fully contain, few of them can claim the essentiality of the two matched flower stems: one coloured with chromatic anarchy typical of the Fauves and the other one figured in its linear simplicity, as we were facing one of the forms theorized even by Plato and at the same time its earthly realization with all its individualizing events as described by Aristotle.
There is also an interesting Guitare of 2004 in sculpure, a slate and steel work which reintroduces the presence of evocative forms which hint at a matter not entirely expressed.
Just as remarkably interesting is Philosopher's Stone ( 2004 ). The authoress creates there a combination of aesthetic elements and historical data: the mixture of statuary pictorial points with the recalling of the famous philosopher's stone myth, which was able to turn basic metals into pure gold, according to many legends popular up until the beginning of the modern era.
Bronze has allowed Lorenzi some productions intimately connected to the nature of the material used, but also to turn a pictured idea into matter representation, as it happens in Shadow Farming of 1992; a number of real divertissements like La richesse of 2014 and the re-proposal of classical figures such as for example The Crook, a creation of 2001.

[Translation by Aldo Maria Pero]